TURANDOT VINCE AL CASTELLO DI SAN GIUSTO A TRIESTE

 

Recensione di Turandot di Giacomo Puccini in scena al Castello di San Giusto a Trieste il 10 luglio 2024

 

 

Il cortile delle milizie del Castello di San Giusto a Trieste riapre, dopo una pausa durata decine di anni, all’opera lirica.

La Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi, con la collaborazione fondamentale delle varie istituzioni del territorio, mette in scena uno dei titoli più amati dai triestini: ‘Turandot’.

Si tratta di una ripresa dell’allestimento dello scorso anno, che  eraun riuscitissimo aggiustamento dello spettacolo del 2019.

Diciamo subito che la scelta operata si è dimostrata vincente, grazie alla capacità del regista Davide Garattini Raimondi, coadiuvato da  Anna Aiello, di trasformare qualcosa di già visto in un ambiente coinvolgente, interessante, pieno di spunti nuovi e di stimoli interessanti.

Poco importa che il palcoscenico sia più piccolo, che le proiezioni siano su un telo che forse poteva abbracciare l’intero fondo, che la struttura di tubi innocenti faccia pensare a qualche rock star piuttosto che alla musica di Puccini.

La verità è che lo spettacolo funziona benissimo ed anche se  lagran parte degli elementi li conosciamo già, tutto appare nuovo, irrorato da passione ed intelligenza, doti che certamente non mancano a Garattini, nuovo senza essere eccessivo, capace di andare oltre le apparenze senza aver bisogno di scandalizzare, profondo ma anche ironico.

La sua è una narrazione per livelli paralleli, capace di accontentare chi cerca le scene di massa, come con l’effetto delle bandiere accarezzate dal vento sulle mura del fortilizio, ma anche di  attimi di poesia commovente, come quando Liù, morta, viene copertacon i frammenti di terracotta  strappati dalle vesti dei consiglieri e degli uomini di corte, quasi a suggerire che la giovane sia una vittima sacrificale per assicurare la sopravvivenza del sistema, ma anche come quel momento segni in verità la fine di quel mondo  cinico  ed autoreferenziale.

Paolo Vitale, che firma anche le suggestive luci e gli accattivanti interventi video, è l’autore della scena, agevole e funzionale.

Si tratta di strutture mobili, spostate a vista, che bene si integrano con l’architettura del fortilizio e mostrano una dimensione atemporale suggestiva, coinvolgente e sapientemente articolata.

Altrettanto efficaci, eccezion fatta forse per Calaf che avrebbe potuto trovare un supporto in  abiti differenti, i  costumi firmati  da Danilo Coppola, vero talento nell’ideare soluzioni affascinanti senza scivolare in inutili provocazioni, ma rimanendo su una cifra raffinata e di grande impatto, ricca di spunti ma  contenuta nelle forme. Troppe volte Turandot  è stata abusata da soluzioni circensi, eccessi cromatici, volontà di farsi ricordare e di stupire. Qui siamo davanti ad una poesia pastellata con classe, ad un racconto delicato e per questo ancor più  profondo.

Una simile soluzione, però, aveva senso se sostenuta da una lettura profonda, autentica della partitura.

In questo caso siamo davanti ad un  artista vero, capace di superare stereotipi e vezzi di maniera e di liberare la composizione dalla polvere del tempo e della tradizione: il Maestro Enrico Calesso.

Il direttore principale del Verdi ha saputo farci dimenticare il tanto clamore delle ultime edizioni triestine di questa opera, puntando su una lettura essenziale, raccolta, che sublimasse l’eleganza e la complessità  della partitura. Ha accarezzato le note con sapienza,  senza sottolineature teatrali, ma piuttosto asciugando, togliendo orpelli e scavando nella  poesia.

Calesso ha scolpito ogni singolo passaggio, ha raccolto, asciugato, sublimato le frasi, gli accordi, regalando una esecuzione da ricordare.

Intensa, coraggiosa, commovente e vera.

Un piacere, visto che il direttore fisicamente era, per questioni di spazi, quasi allo stesso livello dei cantanti, gustare l’eleganza dei gesti, la sincronia fra i movimenti del corpo e quelli della partitura, notare  come gli interpreti fossero accompagnati, in rispettoso silenzio, con il movimento delle labbra, come ogni moto fosse misurato ma attento, come il direttore fosse al centro senza risultare accentratore.

L’orchestra lo segue con bravura, mettendo in risalto sia le potenzialità dei singoli che l’efficacia dell’impatto del gruppo.Equilibrio, compattezza del suono, giusti volumi, senza strabordare o coprire i cantanti, sono le  caratteristiche della prova offerta.

Il coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste diretto da Paolo Longo, riesce a tratteggiare un coinvolgente popolo di Pechino, coadiuvato dai sempre coinvolgenti Piccoli Cantori della città di Trieste diretti con  bravura da Maria Cristina Semeraro, colonna portante delleproduzioni del teatro.

Per quel che riguardai cantanti, tutti nuovi rispetto all’ultima edizione, necessario ricordare che le condizioni climatiche erano realmente proibitive. Un caldo massacrante ed una umidità altissima non potevano non mettere in difficoltà le voci, in modo particolare quelle drammatiche.

Il castello necessitava una amplificazione per cantanti e coro, ma va sottolineato come il teatro si sia mosso con misura ed eleganza, senza forzare  e far perdere identità al suono e permettendo un giudizio chiaro sulle singole prove.

Efficaci e corretti i ruoli minori: il principe di Persia di Francesco Cortese,  artista del Coro dalla voce interessante, ma anche le due ancelle Vida Maticid  Malnarsic  e Lucia Premel.

Stefano Marchisio, il Mandarino, si conferma cantante interessante, dotato di una tavolozza  ampia e volumi possenti.

Gianluca Moro è un Altoum dalla voce sicura e solida, che contrasta con l’aspetto  del vecchio imperatore.

Abramo Rosalen è un valido Timur. Non il vecchio calpestato dalla vita, ma un monarca che, pur in miseria, conserva nobiltà d’animo e solidità di principi. Lo strumento è ricco di sfumature, potente negli acuti, solido e compatto nel centro. Quando terminal’opera, il commento alla morte di Liù è una vera invettiva ed il modo ed il tono utilizzati suonano come l’imponente ed autorevole chiusura ad una vicenda che comunque rimane monca.Per tutti ma non per gli autori del pieghevole che, in continuità con il programma di sala dello scorso anno, continuano inspiegabilmente a proporre la trama anche della parte  che non va in scena. 

Un po’ disomogenei i tre consiglieri: Ping, Pang, Pong.Sicuramente il più coinvolgente è Marcello Rosiello, solido nell’emissione, con una sicura estensione, ricchissimo di colori e sfumature,  capace di tratteggiare immagini evocative di grande impatto, grazie ad una tavolozza realmente ampia e suggestiva; convincente anche Enrico Casari, corretto nel canto  ed appropriato nella gestualità; fragile vocalmente  invece Aaron Mcinnis, decisamente in parte scenicamente, ma il suo volume era limitato, tanto che in alcuni momenti la sua voce non si sentiva a sufficienza.

Liù è Caterina Marchesini, che nelle due arie ottiene applausi a scena aperta, grazie ad una interpretazione coinvolgente  e carica di emozione.

Il  Calaf di Clay Hilley, è potente vocalmente. Certamente, però, il repertorio d’elezione del tenore è quello wagneriano e quello che manca, al di là di alcuni cedimenti attribuibili al clima ed una qualche disomogeneità nel duetto con Turandot,  è il giusto lavoro sulla parola, l’ampiezza delle sfumature, che in Puccini deve essere vastissima, un autentico coinvolgimento psicologico. Il suo  principe è più ricco di note che di emozioni e trova una giusta corrispondenza nella Turandot di Rebeka Lokar, bene calata scenicamente nella narrazione, ma ancorata ad una interpretazione che pare puntare più al superamento delle  difficoltà della parte, che a dare vita ad un personaggio intenso e profondamente complesso.

Alla fine meritati ed abbondantissimi applausi per tutti con acclamazioni per Calesso ed entusiasmo per il team registico.

Una scommessa vinta che premia la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

Gianluca Macovez


CASTELLO DI SAN GIUSTO – CORTILE DELLE MILIZIE

TURANDOT

Musica di Giacomo Puccini

Dramma lirico in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni

Maestro Concertatore e Direttore ENRICO CALESSO

Regia DAVIDE GARATTINI RAIMONDI

Scene e disegno luci PAOLO VITALE

Costumi DANILO COPPOLA

Assistente alla regia e movimenti scenici ANNA AIELLO

Maestro del Coro PAOLO LONGO

Personaggi e interpreti

Turandot REBEKA LOKAR

Calaf CLAY HILLEY

Liù CATERINA MARCHESINI

Timur ABRAMO ROSALEN

Ping MARCELLO ROSIELLO

Pang ENRICO CASARI

Pong AARON MCINNIS

L’imperatore Altoum GIANLUCA MORO

Mandarino STEFANO MARCHISIO

Prima ancella VIDA MATIČIČ MALNARŠIČ

Seconda ancella LUCIA PREMERL

Il principe di Persia FRANCESCO CORTESE

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Con la partecipazione del coro I Piccoli Cantori della città di Trieste diretti dal Cristina Semeraro

Mercoledì 10 luglio, Venerdì 12 luglio, Sabato 13 luglio 2024 ore 21.15

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